IL PRETORE 1. - Il pretore di Terni, dott. Maurizio Santoloci, nel procedimento penale a carico di Fringuello Antonella, imputata tra l'altro dei reati di cui all'art. 21, primo comma, e 21, terzo comma, legge n. 319/1976 per scarico di reflui provenienti dalla molitura dell'olive da frantoio oleario senza autorizzazione ed in violazione del regime tabellare, osserva che il p.m. di udienza, dott.ssa Cristina Rinaldi, ha richiesto pronuncia di questo pretore in ordine all'ipotesi di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, primo comma, della legge n. 574 con richiesta di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per violazione degli artt. 3, 9, 32 e 41 della Costituzione. Ha osservato il p.m.: "Il p.m. di udienza rileva che ai sensi dell'art. 10, legge 11 novembre 1996, n. 574, dovrebbe dichiararsi il non doversi procedere a carico dell'imputata in ordine ai capi A e B di imputazione (violazione art. 21, primo e terzo comma, legge n. 319/1976) perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato in quanto l'impianto della norma in questione stralcia dalla legge n. 319/1976 la disciplina degli scarichi da frantoi oleari caducando la necessita' di autorizzazione preventiva ed eliminando l'obbligo di osservanza dei limiti tabellari (riducendo, al piu', le eventuali sanzioni per inosservanza dei ridotti obblighi e misure a sanzioni amministrative). A parere del p.m. la norma citata si pone in contrasto con gli artt. 3 della Costituzione per manifesta disparita' di trattamento sanzionatorio che il legislatore ha previsto per fattispecie analoghe riguardanti altri tipi di insediamenti produttivi; in contrasto altresi' con l'art. 9 della Costituzione in relazione al secondo comma dell'articolo stesso in quanto la deregulation generale e la contestuale mancata applicazione della sanzione penale nelle fattispecie residue appare insufficiente a tutelare il paesaggio nell'accezione piu' lata che recenti pronunce delle Corti supreme hanno dato alla nozione del paesaggio; ancora si appalesa contrasto l'art. 32 della Costituzione che garantisce il diritto alla salute e con l'art. 41 della Costituzione per violazione del principio "chi inquina paga" con incidenza negativa sulla concorrenza tra imprese. La questione appare al p.m. rilevante e non manifestamente infondata in relazione all'applicabilita' in particolare del disposto dell'art. 10 legge citata nel caso di specie atteso che la dichiarazione di NDP per i capi A e B della rubrica in caso di dichiarazione di incostituzionalita' della norma denunciata non sarebbe possibile per mancata novella all'ipotesi originaria sanzionatoria dell'art. 21, primo e terzo comma, legge n. 319/1976 e succ. mod. Considerato che, quindi, la predetta norma potrebbe essere dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale e che, in tal caso si applicherebbero la disciplina e le sanzioni della legge n. 319/1976. Per questi motivi chiede che il pretore, visto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 87, voglia sospendere il giudizio in corso e trasmettere gli atti alla Corte costituzionale, dichiarando rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, 9, 32 e 41 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 11 novembre 1996 n. 574, nella parte in cui prevede che l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione ai sensi dell'art. 1 stessa legge non e' subordinata all'osservanza da parte dell'interessato delle prescrizioni, dei limiti e degli indici di accettabilita' previsti dalla legge 10 maggio 1976 n. 319 e successive modificazioni". 2. - Osserva il pretore che la richiesta del p.m. e' fondata e si ritiene, pertanto, di dover dichiarare rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 9, 32, e 41 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, primo comma, della legge 11 novembre 1996 n. 574 nella parte in cui prevede che l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione ai sensi dell'art. 1 stessa legge non e' subordinata all'osservanza da parte dell'interessato delle prescrizioni, dei limiti e degli indici di accettabilita' previsti dalla legge 10 maggio 1976 n. 319 e successive modificazioni. 3. - Circa i presupposti di diritto in ordine alla non manifesta infondatezza si rileva quanto segue. 3a. - Va premesso che la legge 10 maggio 1976 n. 319 e succ. mod. (cosiddetta "legge-Merli") costituisce la norma-base in materia di tutela del territorio e delle acque dall'inquinamento idrico, e nel suo contesto sanzionatorio il reato piu' grave e significativo in senso assoluto e' stato sempre considerato quello previsto dal terzo comma dell'art. 21 posto che punisce la condotta sostanziale, immediatamente incidente sull'ambiente naturale, di coloro che "inquinano" materialmente nel senso logico-previsionale della legge stessa e cioe' superando nello scarico i limiti di accettabilita' previsti dalla norma come parametri massimi formalmente tollerabili per ciascuna sostanza riversata su quello che viene definito il corpo ricettore (e che in realta' e' in massima parte il patrimonio idrico e poi anche territoriale del nostro Paese). Accanto ad altri reati satellite, si evidenzia altro reato, per cosi' dire preventivo e burocratico, previsto dal primo e secondo comma del citato art. 21 che punisce chi opera uno scarico senza aver ottenuto l'autorizzazione amministrativa allo stesso. 3b. - Il sistema della decretazione di urgenza ha intaccato profondamente il carattere provvisionale di fondo della legge n. 319/1976 e con la successiva legge di conversione n. 172 del 1995 il testo-base della legge n. 319/1976 e' stato modificato nella sua struttura centrale essenziale. Il dualismo regolamentativo tra insediamenti civili e produttivi nonche' l'impianto del sistema sanzionatorio hanno sempre costituito aspetti basilari della "legge-Merli", ed i decreti-legge che si sono stratificati fino all'attuale definitiva modifica di conversione hanno teso ad incidere alla radice su questi due punti vitali del sistema, ed oggi l'evoluzione cosi' tracciata e' profonda e sostanziale. In primo luogo si e' definitivamente cancellata la possibilita' di una disciplina degli scarichi unica, modellando una netta e decisa differenza di trattamento normativo per gli scarichi civili rispetto a quelli produttivi. Va rilevato che oggi, dunque, gli scarichi civili e delle pubbliche fognature non sono piu' soggetti ad autorizzazione ed al rispetto delle tabelle se ambedue i principi non sono previsti dalla legge regionale; ed ove invece queste previsioni sussistano, l'inosservanza determina solo una sanzione amministrativa (in precedenza per i nuovi scarichi era prevista sempre l'autorizzazione la cui omissione era soggetta a sanzione penale ed il superamento delle tabelle era sempre reato). Circa gli scarichi da insediamenti produttivi, va rilevato che oggi il mancato rispetto delle prescrizioni incluse nell'autorizzazione e' depenalizzato e soggetto soltanto a sanzione amministrativa (mentre in precedenza integrava un reato). Ma il punto essenziale e' che il mancato rispetto dei limiti tabellari, pur restando formalmente penale, ha subito una notevole contrazione a livello sanzionatorio. Infatti gia' in linea di principio, seppur le pene dell'ammenda sono notevolmente aumentate, le pene dell'arresto sono state drasticamente ridotte (l'originario arresto da due mesi a due anni e' stato conservato soltanto per i casi piu' gravi inerenti i parametri di natura tossica persistente e bioaccumulabile specificamente indicati, mentre negli altri e piu' numerosi ed ordinari casi e' stato previsto l'arresto fino ad un anno e quindi minimo di 5 giorni); ma va evidenziato che in ambedue i casi trattasi sempre e comunque di pene alternative e dunque soggette all'oblazione. Va sottolineato il mutamento di regime per gli scarichi produttivi che finiscono nelle pubbliche fognature, i quali, infatti, possono non essere piu' soggetti alla tabella C se il comune vara un regolamento in tal senso. Consegue, dunque, una evoluzione della legge n. 319/1976 la quale, affatto coerente ed applicativa in senso lato dei piu' rigidi principi della Direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991 prevista dalla legge comunitaria del 1993 (legge n. 146/1994), nonostante il generico ed astratto richiamo a tale Direttiva inserito nel testo di legge in esame, depotenzia in modo rilevante tutti i capisaldi su cui si fonda la legge-Merli. In particolare, riguardo al punto inerente il regime dei limiti da rispettare nello scarico, che ha costituito fino ad oggi l'asse portate strutturale della legge n. 319/1976, il testo della norma novellata prevede una tendenza alla deregulation di fondo. E cio' crea una contrazione degli effetti deterrenti e repressivi della norma. 3c. - L'intervento della legge n. 574/1996 si inserisce in questo quadro normativo sostanzialmente soggetto a forte regressione previsionale e soprattutto sanzionatoria, ed apporta a sua volta un ulteriore e rilevantissimo elemento di deregulation stralciando in blocco unilateralmente la disciplina degli scarichi dei frantoi oleari dal contesto della gia' contratta legge n. 319/1976. E generando ulteriore e specifica caducazione normativa totale e/o, al massimo, de penalizzazione. 3d. - La legge 11 novembre 1996 n. 574, infatti, stabilendo "nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari", prevede una particolare disciplina di favore per questi scarichi, espressamente derogatoria rispetto a quella stabilita dalla legge n. 319 per tutti gli altri scarichi da insediamenti produttivi; in particolare si consente lo scarico dei frantoi senza autorizzazione preventiva e senzal'osservanza dei limiti tabellari previsti dalla legge n. 319, prevedendo, e solo in alcuni limitati casi, sanzioni amministrative non superiori, nel massimo, a 5 milioni; e si precisa, in proposito che "l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione ai sensi dell'art. 1, non e' subordinata all'osservanza da parte dell'interessato delle prescrizioni, dei limiti e degli indici di accettabilita' previsti dalla legge 10 maggio 1976 n. 319, e successive modificazioni" (art. 10, comma 1). Dunque, i fatti contestati in questa sede processuale alla prevenuta sub A e dovrebbero essere soggetti ad un proscioglimento, trattandosi di fattispecie non piu' previste dalla legge come reato ovvero espressamente dichiarato non punibile. Tuttavia, il pretore, sulla scorta di quanto esposto dal p.m., prospetta ipotesi dubitative sulla legittimita' costituzionale della nuova disciplina di favore introdotta con la legge n. 574 del 1996. 4. - Il primo punto che lo scrivente intende evidenziare e' l'apparente contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. 4a. - La Corte costituzionale ha costantemente affermato che il rispetto dell'art. 3 consente al legislatore di emanare norme differenziate riguardo a situazioni obiettivamente diverse solo a condizione che tali norme rispondano alla esigenza che la disparita' di trattamento sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino la adozione. E' stata peraltro dichiarata, in tema di sanzioni, la "arbitrarieta' delle statuizioni non uniformi" per "contrasto con i principi di ragionevolezza e di razionalita' della legislazione, desumibili dall'art. 3 della Costituzione (sentenza n. 52 del 21 febbraio 1996). Nel caso in esame pare ravvisarsi una palese disparita' di regime sanzionatorio per realta' similari. Appare infatti evidente che in modo del tutto ingiustificato i titolari dei frantoi sono stati chirurgicamente isolati, favorevolmente, dalla disciplina generale sugli scarichi da insediamenti produttivi. Si appalesa, dunque, ad avviso dello scrivente, senza alcuna ragionevole giustificazione, una evidente disparita' di trattamento, sia come obblighi che come sanzioni, tra scarichi da insediamenti produttivi; tanto piu' che, trattandosi di norme contro l'inquinamento, l'unico presupposto che potrebbe giustificare un trattamento di favore per gli scarichi dei frantoi dovrebbe riguardare la loro minore pericolosita' per l'ambiente e non il tipo di attivita'. E' invece fatto noto per comune scienza ed esperienza che gli scarichi da frantoi sono costituiti da reflui altamente inquinanti e pericolosi per l'ambiente naturale. Non trattasi dunque certamente di ipotesi minori di realta' inquinanti che potevano, per cio' solo, essere soggetti a una improvvisa e cosi' netta liberalizzazione e moratoria generale. 4b. - La nuova normativa fonda la differenziazione della disciplina sanzionatoria non gia', come sarebbe ragionevole, sulla potenzialita' inquinante (sia pure presunta) degli scarichi e quindi sulla gravita' del fatto ma, in ultima analisi, sulla qualifica del soggetto titolare dello scarico terminale. Il sospetto di violazione dell'art. 3 della Costituzione appare sotto tale profilo non manifestamente infondato. Va al riguardo sottolineato che la giurisprudenza, e la dottrina, ricollegano valore pregiudiziale ed assorbente alla natura ed alle caratteristiche dello scarico per operare una valutazione di classificazione per individuare la disciplina normativa concretamente applicabile allo stesso; la legge n. 574/1996, invece, inverte la metodologia e considera ai propri fini, fortemente incidenti a livello pratico-normativo, soltanto la qualifica del soggetto titolare in modo oggettivo e generalizzato, livellando nella deregulation tutti gli scarichi conseguenti. Quindi non si opera, come sarebbe stato piu' sinergico con lo spirito di fondo della legge n. 319/1976, una scala progressiva decrescente di situazioni previsionali e sanzionatorie sul tema specifico, prevedendo una differenziazione gerarchica tra la disciplina per i grandi scarichi (da macro-insediamenti) fino, gradatamente, ad una disciplina massimamente piu' favorevole per i minimi scarichi (da modesti insediamenti a carattere familiare o micro-artigianale) adottando dunque come parametro di riferimento la natura (e la potenzialita' inquinante) dello scarico, ma si deregolamenta e/o si depenalizza in blocco tutto il settore dei frantoi sulla base della tipologia generica e generale del tipo di insediamento come specie da considerarsi autonoma. 4c. - Non vi e' dubbio che altre categorie di insediamenti produttivi, per lo piu' individuati come tali dalla composizione specifica terminale dello scarico, restano oggi soggetti alla disciplina sanzionatoria penale dell'art. 21, terzo comma, legge n. 319/1976 seppur il livello inquinante e la pericolosita' ambientale degli stessi sia minore o comunque uguale a quella dei frantoi. E non si intuisce dunque sulla base di quale differenziazione debba sussistere, a parita' o addirittura inferiorita' di impatto biologico-ambientale, la citata deregolamentazione piu' favorevole per i titolari di frantoi rispetto ad altre categorie industriali o artigianali. 4d. - Peraltro, la nuova legge configura una evidente disparita' di trattamento anche rispetto al sistema complessivo della normativa di tutela ambientale (cfr., ad esempio, il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 sull'inquinamento atmosferico da industrie), ed in particolare con le altre leggi che si occupano, come la i' Merli, di inquinamento delle acque (quale il d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 133 sugli scarichi di sostanze pericolose), le quali prevedono tutte sanzioni penali (e non amministrative) per fatti di inquinamento o per violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione commessi da titolari di insediamenti produttivi. 5. - In detto svuotamento regolamentativo e sanzionatorio si profila ad avviso dello scrivente pretore una violazione del disposto dell'art. 9, secondo comma, della Costituzione, laddove la tutela del paesaggio, inteso secondo le piu' recenti pronunce della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, non deve essere inteso solo come bellezza estetica da cartolina ma come ambiente naturale in senso lato, quindi comprensivo anche degli inevitabili ed inscindibili aspetti bionaturalistici. Il termine "paesaggio" viene ormai dunque comunemente interpretato, alla luce della giurisprudenza costituzionale, come "ambiente" nel senso di ecosistema. Va evidenziato, sul punto, che la pretesa argomentazione del riutilizzo agronomico degli scarichi dei frantoi e', realisticamente, materia con forte vena utopistica e di pura facciata formale. L'esperienza storica, e giurisprudenziale, sul tema evidenzia che trattasi di un settore entro il quale la tendenza alla prassi illecita e' stata sempre forte e sempre forte e' stata la realta' di riversamento puro e semplice dei liquami su terreni di comodo per quelle che, spacciate come attivita' di fertirrigazione o comunque utilizzazione a fini agricoli, erano poi in realta' puramente e semplicemente delle discariche di iperconcentrati scarichi da frantoi in overdose tabellare. La mancanza, o l'incapacita' tecnica e professionale, dei controlli in questo settore hanno determinato a loro volta una lievitazione del fenomeno fino a tradurlo quasi in diritto quesito, con accertamenti rarefatti e dunque ipotesi deterrenti scarsissime anche per la difficolta' (ed impreparazione) in ordine al sistema dei controlli. Anche la polizia giudiziaria, seppur con gli strumenti forniti dal codice di procedura penale, e' spesso rimasta imbrigliata operativamente di fronte al controllo dell'automezzo di trasporto per le difficolta' operative nella estrinsecazione degli accertamenti. Sulla scorta di queste premesse storiche, e' facile argomentare che la estrapolazione totale dal sistema penale, parallelamente alla omessa previsione di rispetto autorizzativo e tabellare, non potra' che generare un tracollo generale del gia' critico sistema con danni irreversibili per l'ambiente naturale. 6. - Per gli stessi motivi esposti in relazione all'art. 9 della Costituzione, si ritiene che la norma in esame si ponga in contrasto anche con l'art. 32 della Carta costituzionale. Infatti nel concetto di tutela della salute come principio costituzionalmente garantito deve, per forza di cose, ricomprendersi il piu' vasto concetto della salute pubblica nel senso della salubrita' dell'ambiente i' naturale ed urbano ove ciascun cittadino vive. Il diritto alla salute inteso anche come diritto all'ambiente salubre e' stato ormai ripetutamente accertato in giurisprudenza (si veda per tutte la famosa sentenza delle sezioni unite n. 517 del 6 ottobre 1979, nonche' la Corte costituzionale in data 30 dicembre 1987 n. 641 ed in data 16 marzo 1990 n. 127). E' fuor dubbio che la diminuita possibilita' di intervento deterrente/punitivo in sede di illeciti da inquinamento idrico nel settore specifico, ed il connesso azzeramento delle residue sanzioni penali, in sinergia con la deregolamentazione autorizzatoria e tabellare, creano i presupposti per una evoluzione incontrollata del fenomeno, incoraggiata dall'abbassamento della guardia in sede di controlli di p.g. e possibilita' di intervento processuale; e tutto questo si traduce in via diretta in un danno per la salute e salubrita' pubblica in un ambiente che resta cosi' maggiormente ed incontrollatamente esposto al degrado inquinante. Ma il nuovo testo appare in contrasto anche con l'art. 32 della Costituzione. Si sottolinea, sul punto, che secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale e della Cassazione, l'art. 32 garantisce il diritto ad un ambiente salubre, per cui "l'amministrazione non ha il potere di rendere l'ambiente insalubre neppure in vista di motivi di interesse pubblico di particolare rilevanza" (Cass. 6 ottobre 1979, n. 5172); appare dunque evidente il contrasto con questo diritto di una normativa la quale elimina per i soli titolari di scarichi di frantoi oleari gli obblighi e le sanzioni penali previste dalla legge n. 319/1976 per violazioni che danneggiano l'ambiente. 7. - Si rileva inoltre che la regressione sanzionatoria in esame si pone in evidente contrasto con il principio "chi inquina paga", oggi chiaramente presupposta da diverse decisioni della Corte di cassazione (tra le altre, Cass. pen. sez. III, 2 febbraio 1994 n. 2525 e Cass. pen. sez. III, 6 aprile 1993 n. 3148). La norma denunciata infatti favorisce apertamente chi viola la legge nella materia specifica degli scarichi da frantoi e penalizza, invece, anche sul piano della concorrenza tra imprese, le aziende di settori paralleli o equiparabili come natura o comunque incidenza ambientale degli scarichi, che hanno affrontato rilevanti investimenti per adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale; e cio' appalesa, ad avviso dello scrivente, un contrasto con l'art. 41 della Costituzione. 8. - A proposito del possibile intervento della Corte costituzionale, tuttavia, si deve rilevare che, proprio a proposito di analoghe eccezioni sollevate in relazione alla disciplina di favore introdotta, con riferimento soprattutto alle sanzioni, dalla legge n. 172 del 1995 per gli scarichi delle pubbliche fognature, la Corte ha ritenuto di doverle dichiarare manifestamente inammissibili in quanto "il fondamentale principio di stretta legalita' dei reati e delle pene preclude pronunce che configurino nuove ipotesi di reato o aggravamenti di pena" (ordinanza n. 332 del 30 luglio 1996); aggiungendo che "le questioni tendono a introdurre, o reintrodurre, figure di reato o aggravamenti di pena, chiedendo una pronuncia che esula dai poteri spettanti a questa corte, giacche' il potere di creare fattispecie penali o di aggravare le pene e esclusivamente riservato al legislatore, in forza del principio di stretta legalita' dei reati e delle pene, sancito dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione..." (sentenza n. 330 del 29 luglio 1996). A tale argomentazione e' agevole replicare che, nel caso di specie, ricorre una situazione diversa, per cui non si chiede affatto alla Corte di creare nuovi illeciti penali o di aggravare le pene ma, molto piu' semplicemente, di valutare se il nuovo regime di favore - relativo agli obblighi prima ancora che alle sanzioni - creato con la legge n. 574 per gli scarichi dei frantoi sia in contrasto o meno con alcuni articoli della Costituzione; provvedendo, quindi, come e' suo compito esclusivo, alla dichiarazione di illegittimita' degli articoli della legge eventualmente ritenuti contrastanti con la Costituzione. Che poi, da tale eventuale pronuncia possa derivare il ripristino della disciplina precedente (anche come sanzioni) e' fatto del tutto secondario ed automatico, e certamente non tale da impedire alla Corte di esercitare il suo potere-dovere rispetto a norme di legge che si sospettano incostituzionali. Del resto, richiamando alcune considerazioni gia' accennate, e' pacifico per la Corte che l'esercizio della discrezionalita' del legislatore in tema di sanzioni "puo' essere censurato quando esso non rispetti il limite della ragionevolezza e dia luogo ad una disparita' di trattamento palesemente irrazionale ed ingiustificata" (sentenza n. 25 del 26 gennaio 1984); e che spetta alla Corte verificare, caso per caso, se una data misura sanzionatoria sia o meno proporzionata (sentenza n. 110 del 12 aprile 1996). 9. - Si rileva ancora che, sotto il profilo della correttezza istituzionale, ritiene questo pretore di dover evidenziare come la legge n. 574/1996 costituisca una metodologia di intervento normativo che, se consolidata per il futuro, determinerebbe di fatto una codificazione di un sistema di stralcio caso per caso di singoli e specifici settori industriali e/o artigianali dall'impianto (peraltro residuale) della legge n. 319/1976. In altri termini, altre categorie produttive potrebbero a questo punto (e forse comprensibilmente) chiedere a livello politico analogo e parallelo trattamento normativo e potrebbe, per logica conseguenziale, avviarsi la prassi di stralciare dal contesto della legge n. 319/1976, caso per caso e con riferimento ai soli criteri della natura degli insediamenti e senza nesso con la tipologia differenziata dei reflui, altre categorie produttive; con cio' creando una legislazione parallela e silente avviata sulla strada del totale e definitivo svuotamento di principio e sostanziale della legge n. 319/1976. 10. - Da quanto sopra esposto, emerge che in applicazione della norma oggetto del giudizio di costituzionalita' dovrebbe procedersi a verifica in ordine ai capi A e B di imputazione per appurare se al caso di specie debba applicarsi la innovativa disciplina dell'art. 21, primo e terzo comma, legge n. 319/1976, derivante dalla modifica introdotta dall'art. 10, comma 1, della legge n. 574/1996 in esame. E quindi se l'imputata debba essere prosciolta perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato in senso assoluto. Qualora, invece, la questione di costituzionalita' dovesse essere accolta, si dovrebbe procedere a dibattimento secondo prassi ordinaria di rito con esame istruttorio nell'alveo interpretativo del terzo comma dell'art. 21, legge n. 319/1976 sulla base dei principi enunciati dalla Cassazione in materia e conseguente articolazione del dibattimento e del connesso sistema sanzionatorio secondo i canoni di certezza del diritto fino ad oggi seguiti in materia. 11. - Dalle considerazioni esposte si desume che il presente giudizio non puo' essere definito, allo stato e vigente i principi dell'art. 10, comma 1, legge 11 novembre 1996 n. 574 in esame, in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.