IL PRETORE
   1.  -  Il  pretore  di  Terni,  dott.   Maurizio   Santoloci,   nel
 procedimento  penale  a  carico di Fringuello Antonella, imputata tra
 l'altro dei reati di cui all'art. 21, primo comma, e 21, terzo comma,
 legge n.  319/1976 per scarico di reflui provenienti  dalla  molitura
 dell'olive  da frantoio oleario senza autorizzazione ed in violazione
 del regime tabellare,  osserva  che  il  p.m.  di  udienza,  dott.ssa
 Cristina  Rinaldi, ha richiesto pronuncia di questo pretore in ordine
 all'ipotesi  di  non  manifesta  infondatezza  della   questione   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 10, primo comma, della legge n.
 574   con   richiesta   di   trasmissione   degli   atti  alla  Corte
 costituzionale per violazione  degli  artt.  3,  9,  32  e  41  della
 Costituzione.
   Ha osservato il p.m.:
   "Il  p.m.  di  udienza  rileva  che ai sensi dell'art. 10, legge 11
 novembre 1996, n. 574, dovrebbe dichiararsi il non doversi  procedere
 a  carico  dell'imputata  in  ordine  ai  capi  A  e B di imputazione
 (violazione art. 21, primo e terzo comma, legge n. 319/1976)  perche'
 il  fatto  non  e'  piu'  previsto  dalla  legge come reato in quanto
 l'impianto della norma in questione stralcia dalla legge n.  319/1976
 la   disciplina   degli  scarichi  da  frantoi  oleari  caducando  la
 necessita' di autorizzazione preventiva ed  eliminando  l'obbligo  di
 osservanza  dei  limiti  tabellari  (riducendo, al piu', le eventuali
 sanzioni per inosservanza dei ridotti obblighi e  misure  a  sanzioni
 amministrative).
   A  parere  del  p.m.  la  norma citata si pone in contrasto con gli
 artt. 3 della Costituzione per manifesta  disparita'  di  trattamento
 sanzionatorio che il legislatore ha previsto per fattispecie analoghe
 riguardanti  altri  tipi  di  insediamenti  produttivi;  in contrasto
 altresi' con l'art. 9 della  Costituzione  in  relazione  al  secondo
 comma  dell'articolo  stesso  in quanto la deregulation generale e la
 contestuale  mancata  applicazione  della   sanzione   penale   nelle
 fattispecie  residue  appare  insufficiente  a  tutelare il paesaggio
 nell'accezione piu' lata che recenti  pronunce  delle  Corti  supreme
 hanno  dato  alla nozione del paesaggio; ancora si appalesa contrasto
 l'art. 32 della Costituzione che garantisce il diritto alla salute  e
 con  l'art.  41  della Costituzione per violazione del principio "chi
 inquina paga" con incidenza negativa sulla concorrenza tra imprese.
   La  questione  appare  al  p.m.  rilevante  e  non   manifestamente
 infondata in relazione all'applicabilita' in particolare del disposto
 dell'art.    10  legge  citata  nel  caso  di  specie  atteso  che la
 dichiarazione di NDP per i capi A  e  B  della  rubrica  in  caso  di
 dichiarazione  di  incostituzionalita'  della  norma  denunciata  non
 sarebbe  possibile  per  mancata   novella   all'ipotesi   originaria
 sanzionatoria  dell'art. 21, primo e terzo comma, legge n. 319/1976 e
 succ. mod.
   Considerato  che,  quindi,  la  predetta  norma   potrebbe   essere
 dichiarata  illegittima dalla Corte costituzionale e che, in tal caso
 si applicherebbero  la  disciplina  e  le  sanzioni  della  legge  n.
 319/1976.
   Per questi motivi chiede che il pretore, visto l'art. 1 della legge
 costituzionale  9  febbraio  1948,  n.  1,  e  l'art.  23 della legge
 costituzionale 11 marzo 1953 n. 87, voglia sospendere il giudizio  in
 corso  e  trasmettere gli atti alla Corte costituzionale, dichiarando
 rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli  artt.  3,
 9,   32  e  41  della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 10 della legge  11  novembre  1996  n.  574,
 nella parte in cui prevede che l'utilizzazione agronomica delle acque
 di  vegetazione  ai sensi dell'art. 1 stessa legge non e' subordinata
 all'osservanza da  parte  dell'interessato  delle  prescrizioni,  dei
 limiti  e  degli  indici  di  accettabilita'  previsti dalla legge 10
 maggio 1976 n. 319 e successive modificazioni".
   2. - Osserva il pretore che la richiesta del p.m. e' fondata  e  si
 ritiene, pertanto, di dover dichiarare rilevante e non manifestamente
 infondata,   per  violazione  degli  artt.  3,  9,  32,  e  41  della
 Costituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
 10,  primo  comma, della legge 11 novembre 1996 n. 574 nella parte in
 cui prevede che l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione
 ai sensi dell'art.  1 stessa legge non e' subordinata  all'osservanza
 da  parte  dell'interessato  delle  prescrizioni,  dei limiti e degli
 indici di accettabilita' previsti dalla legge 10 maggio 1976 n. 319 e
 successive modificazioni.
   3. - Circa i presupposti di diritto in ordine  alla  non  manifesta
 infondatezza si rileva quanto segue.
   3a.  -  Va premesso che la legge 10 maggio 1976 n. 319 e succ. mod.
 (cosiddetta "legge-Merli") costituisce la norma-base  in  materia  di
 tutela  del  territorio e delle acque dall'inquinamento idrico, e nel
 suo contesto sanzionatorio il reato piu'  grave  e  significativo  in
 senso  assoluto e' stato sempre considerato quello previsto dal terzo
 comma  dell'art.  21  posto  che  punisce  la  condotta  sostanziale,
 immediatamente   incidente  sull'ambiente  naturale,  di  coloro  che
 "inquinano" materialmente nel senso logico-previsionale  della  legge
 stessa  e  cioe'  superando  nello scarico i limiti di accettabilita'
 previsti dalla norma come parametri massimi  formalmente  tollerabili
 per ciascuna sostanza riversata su quello che viene definito il corpo
 ricettore  (e che in realta' e' in massima parte il patrimonio idrico
 e poi anche territoriale del nostro Paese). Accanto  ad  altri  reati
 satellite,  si  evidenzia  altro  reato,  per cosi' dire preventivo e
 burocratico, previsto dal primo e secondo comma del  citato  art.  21
 che   punisce   chi   opera   uno   scarico   senza   aver   ottenuto
 l'autorizzazione amministrativa allo stesso.
   3b. -  Il  sistema  della  decretazione  di  urgenza  ha  intaccato
 profondamente  il  carattere  provvisionale  di  fondo della legge n.
 319/1976 e con la successiva legge di conversione n. 172 del 1995  il
 testo-base  della  legge  n.  319/1976  e' stato modificato nella sua
 struttura  centrale  essenziale.  Il  dualismo  regolamentativo   tra
 insediamenti  civili  e  produttivi  nonche'  l'impianto  del sistema
 sanzionatorio  hanno  sempre  costituito   aspetti   basilari   della
 "legge-Merli",  ed  i  decreti-legge  che  si  sono stratificati fino
 all'attuale definitiva modifica di conversione hanno teso ad incidere
 alla  radice  su  questi  due  punti  vitali  del  sistema,  ed  oggi
 l'evoluzione cosi' tracciata e' profonda e sostanziale.
   In  primo luogo si e' definitivamente cancellata la possibilita' di
 una disciplina degli scarichi unica, modellando una  netta  e  decisa
 differenza  di trattamento normativo per gli scarichi civili rispetto
 a quelli produttivi.
   Va rilevato che oggi, dunque, gli scarichi civili e delle pubbliche
 fognature non sono piu' soggetti ad  autorizzazione  ed  al  rispetto
 delle  tabelle  se  ambedue  i principi non sono previsti dalla legge
 regionale; ed ove invece queste previsioni sussistano, l'inosservanza
 determina solo una sanzione amministrativa (in precedenza per i nuovi
 scarichi era prevista sempre l'autorizzazione la  cui  omissione  era
 soggetta a sanzione penale ed il superamento delle tabelle era sempre
 reato).
   Circa gli scarichi da insediamenti produttivi, va rilevato che oggi
 il mancato rispetto delle prescrizioni incluse nell'autorizzazione e'
 depenalizzato  e  soggetto soltanto a sanzione amministrativa (mentre
 in precedenza integrava un reato). Ma il punto essenziale e'  che  il
 mancato  rispetto  dei  limiti  tabellari,  pur  restando formalmente
 penale, ha subito una notevole contrazione a  livello  sanzionatorio.
 Infatti  gia' in linea di principio, seppur le pene dell'ammenda sono
 notevolmente aumentate, le pene dell'arresto sono state drasticamente
 ridotte (l'originario arresto  da  due  mesi  a  due  anni  e'  stato
 conservato  soltanto  per  i  casi piu' gravi inerenti i parametri di
 natura tossica persistente e bioaccumulabile specificamente indicati,
 mentre negli altri e piu' numerosi ed ordinari casi e' stato previsto
 l'arresto fino ad un anno  e  quindi  minimo  di  5  giorni);  ma  va
 evidenziato  che in ambedue i casi trattasi sempre e comunque di pene
 alternative e dunque soggette all'oblazione.
   Va sottolineato il mutamento di regime per gli scarichi  produttivi
 che  finiscono  nelle  pubbliche fognature, i quali, infatti, possono
 non essere piu'  soggetti  alla  tabella  C  se  il  comune  vara  un
 regolamento in tal senso.
   Consegue,  dunque, una evoluzione della legge n. 319/1976 la quale,
 affatto coerente  ed  applicativa  in  senso  lato  dei  piu'  rigidi
 principi della Direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991 prevista dalla
 legge  comunitaria  del  1993  (legge  n.  146/1994),  nonostante  il
 generico ed astratto richiamo a tale Direttiva inserito nel testo  di
 legge in esame, depotenzia in modo rilevante tutti i capisaldi su cui
 si fonda la legge-Merli.
   In  particolare, riguardo al punto inerente il regime dei limiti da
 rispettare nello scarico, che  ha  costituito  fino  ad  oggi  l'asse
 portate  strutturale  della  legge  n. 319/1976, il testo della norma
 novellata prevede una tendenza alla deregulation  di  fondo.  E  cio'
 crea  una  contrazione  degli  effetti  deterrenti e repressivi della
 norma.
   3c. - L'intervento della legge n. 574/1996 si inserisce  in  questo
 quadro   normativo   sostanzialmente  soggetto  a  forte  regressione
 previsionale e soprattutto sanzionatoria, ed apporta a sua  volta  un
 ulteriore  e  rilevantissimo  elemento di deregulation stralciando in
 blocco unilateralmente  la  disciplina  degli  scarichi  dei  frantoi
 oleari  dal  contesto  della  gia'  contratta  legge  n.  319/1976. E
 generando ulteriore e specifica caducazione normativa totale e/o,  al
 massimo, de penalizzazione.
   3d.  - La legge 11 novembre 1996 n. 574, infatti, stabilendo "nuove
 norme  in  materia  di  utilizzazione  agronomica  delle   acque   di
 vegetazione   e   di   scarichi  dei  frantoi  oleari",  prevede  una
 particolare disciplina di favore per questi  scarichi,  espressamente
 derogatoria  rispetto a quella stabilita dalla legge n. 319 per tutti
 gli altri scarichi da  insediamenti  produttivi;  in  particolare  si
 consente  lo  scarico  dei  frantoi senza autorizzazione preventiva e
 senzal'osservanza dei limiti tabellari previsti dalla legge  n.  319,
 prevedendo,  e  solo in alcuni limitati casi, sanzioni amministrative
 non superiori, nel massimo, a 5 milioni; e si precisa,  in  proposito
 che  "l'utilizzazione  agronomica delle acque di vegetazione ai sensi
 dell'art.   1,   non   e'   subordinata   all'osservanza   da   parte
 dell'interessato  delle  prescrizioni,  dei  limiti e degli indici di
 accettabilita'  previsti  dalla  legge  10  maggio  1976  n.  319,  e
 successive modificazioni" (art. 10, comma 1).
   Dunque,   i  fatti  contestati  in  questa  sede  processuale  alla
 prevenuta sub A e dovrebbero essere soggetti ad  un  proscioglimento,
 trattandosi  di  fattispecie non piu' previste dalla legge come reato
 ovvero espressamente dichiarato non punibile.
   Tuttavia, il pretore, sulla scorta  di  quanto  esposto  dal  p.m.,
 prospetta  ipotesi dubitative sulla legittimita' costituzionale della
 nuova disciplina di favore introdotta con la legge n. 574 del 1996.
   4. - Il  primo  punto  che  lo  scrivente  intende  evidenziare  e'
 l'apparente   contrasto  con  il  principio  di  eguaglianza  sancito
 dall'art. 3 della Costituzione.
   4a. - La Corte costituzionale ha  costantemente  affermato  che  il
 rispetto  dell'art.  3  consente  al  legislatore  di  emanare  norme
 differenziate riguardo a situazioni  obiettivamente  diverse  solo  a
 condizione  che tali norme rispondano alla esigenza che la disparita'
 di trattamento sia fondata su presupposti logici obiettivi,  i  quali
 razionalmente ne giustifichino la adozione.
   E'   stata   peraltro   dichiarata,   in   tema   di  sanzioni,  la
 "arbitrarieta' delle statuizioni non uniformi" per "contrasto  con  i
 principi  di  ragionevolezza  e  di  razionalita' della legislazione,
 desumibili dall'art.  3 della Costituzione (sentenza  n.  52  del  21
 febbraio 1996).
   Nel  caso  in esame pare ravvisarsi una palese disparita' di regime
 sanzionatorio per realta' similari.
   Appare infatti evidente che in  modo  del  tutto  ingiustificato  i
 titolari    dei   frantoi   sono   stati   chirurgicamente   isolati,
 favorevolmente,  dalla  disciplina   generale   sugli   scarichi   da
 insediamenti produttivi.
   Si  appalesa,  dunque,  ad  avviso  dello  scrivente,  senza alcuna
 ragionevole giustificazione, una evidente disparita' di  trattamento,
 sia  come  obblighi  che  come sanzioni, tra scarichi da insediamenti
 produttivi;   tanto   piu'   che,   trattandosi   di   norme   contro
 l'inquinamento,  l'unico  presupposto  che  potrebbe  giustificare un
 trattamento  di  favore  per  gli  scarichi  dei   frantoi   dovrebbe
 riguardare  la loro minore pericolosita' per l'ambiente e non il tipo
 di attivita'.
   E' invece fatto noto per  comune  scienza  ed  esperienza  che  gli
 scarichi  da frantoi sono costituiti da reflui altamente inquinanti e
 pericolosi per l'ambiente naturale.
   Non  trattasi  dunque  certamente  di  ipotesi  minori  di  realta'
 inquinanti  che  potevano,  per  cio'  solo,  essere  soggetti  a una
 improvvisa e cosi' netta liberalizzazione e moratoria generale.
   4b. - La nuova normativa fonda la differenziazione della disciplina
 sanzionatoria non gia', come sarebbe ragionevole, sulla potenzialita'
 inquinante (sia pure presunta) degli scarichi e quindi sulla gravita'
 del fatto  ma,  in  ultima  analisi,  sulla  qualifica  del  soggetto
 titolare dello scarico terminale.
   Il  sospetto  di  violazione  dell'art. 3 della Costituzione appare
 sotto tale profilo non manifestamente infondato.
   Va al riguardo sottolineato che la giurisprudenza, e  la  dottrina,
 ricollegano  valore  pregiudiziale  ed assorbente alla natura ed alle
 caratteristiche  dello  scarico  per  operare  una   valutazione   di
 classificazione per individuare la disciplina normativa concretamente
 applicabile  allo  stesso;  la  legge n. 574/1996, invece, inverte la
 metodologia e  considera  ai  propri  fini,  fortemente  incidenti  a
 livello   pratico-normativo,   soltanto  la  qualifica  del  soggetto
 titolare  in  modo  oggettivo  e  generalizzato,   livellando   nella
 deregulation tutti gli scarichi conseguenti.
   Quindi  non  si  opera,  come  sarebbe  stato piu' sinergico con lo
 spirito di fondo della  legge  n.  319/1976,  una  scala  progressiva
 decrescente  di  situazioni  previsionali  e  sanzionatorie  sul tema
 specifico,  prevedendo  una  differenziazione   gerarchica   tra   la
 disciplina  per  i  grandi  scarichi  (da  macro-insediamenti)  fino,
 gradatamente, ad una disciplina massimamente piu'  favorevole  per  i
 minimi  scarichi  (da  modesti  insediamenti  a carattere familiare o
 micro-artigianale) adottando dunque come parametro di riferimento  la
 natura   (e   la  potenzialita'  inquinante)  dello  scarico,  ma  si
 deregolamenta e/o si depenalizza  in  blocco  tutto  il  settore  dei
 frantoi  sulla  base  della tipologia generica e generale del tipo di
 insediamento come specie da considerarsi autonoma.
   4c. -  Non  vi  e'  dubbio  che  altre  categorie  di  insediamenti
 produttivi,  per  lo  piu'  individuati  come tali dalla composizione
 specifica  terminale  dello  scarico,  restano  oggi  soggetti   alla
 disciplina  sanzionatoria  penale dell'art. 21, terzo comma, legge n.
 319/1976  seppur  il livello inquinante e la pericolosita' ambientale
 degli stessi sia minore o comunque uguale a quella dei frantoi. E non
 si  intuisce  dunque  sulla  base  di  quale  differenziazione  debba
 sussistere,   a   parita'   o  addirittura  inferiorita'  di  impatto
 biologico-ambientale, la citata  deregolamentazione  piu'  favorevole
 per  i  titolari di frantoi rispetto ad altre categorie industriali o
 artigianali.
   4d. - Peraltro, la nuova legge configura una evidente disparita' di
 trattamento anche rispetto al sistema complessivo della normativa  di
 tutela ambientale (cfr., ad esempio, il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203
 sull'inquinamento atmosferico da industrie), ed in particolare con le
 altre  leggi che si occupano, come la i' Merli, di inquinamento delle
 acque (quale il d.lgs. 27 gennaio  1992  n.  133  sugli  scarichi  di
 sostanze pericolose), le quali prevedono tutte sanzioni penali (e non
 amministrative)  per  fatti  di  inquinamento  o per violazione delle
 prescrizioni dell'autorizzazione commessi da titolari di insediamenti
 produttivi.
   5. -  In  detto  svuotamento  regolamentativo  e  sanzionatorio  si
 profila ad avviso dello scrivente pretore una violazione del disposto
 dell'art.    9,  secondo comma, della Costituzione, laddove la tutela
 del paesaggio, inteso secondo le piu' recenti pronunce della Corte di
 cassazione e della Corte costituzionale, non deve essere inteso  solo
 come  bellezza  estetica  da  cartolina  ma come ambiente naturale in
 senso  lato,  quindi   comprensivo   anche   degli   inevitabili   ed
 inscindibili aspetti bionaturalistici.
   Il termine "paesaggio" viene ormai dunque comunemente interpretato,
 alla  luce  della  giurisprudenza costituzionale, come "ambiente" nel
 senso di ecosistema.
   Va evidenziato,  sul  punto,  che  la  pretesa  argomentazione  del
 riutilizzo agronomico degli scarichi dei frantoi e', realisticamente,
 materia con forte vena utopistica e di pura facciata formale.
   L'esperienza  storica,  e giurisprudenziale, sul tema evidenzia che
 trattasi di un  settore  entro  il  quale  la  tendenza  alla  prassi
 illecita  e' stata sempre forte e sempre forte e' stata la realta' di
 riversamento puro e semplice dei liquami su  terreni  di  comodo  per
 quelle  che,  spacciate  come attivita' di fertirrigazione o comunque
 utilizzazione a fini agricoli,  erano  poi  in  realta'  puramente  e
 semplicemente delle discariche di iperconcentrati scarichi da frantoi
 in overdose tabellare.
   La mancanza, o l'incapacita' tecnica e professionale, dei controlli
 in questo settore hanno determinato a loro volta una lievitazione del
 fenomeno  fino  a tradurlo quasi in diritto quesito, con accertamenti
 rarefatti e  dunque  ipotesi  deterrenti  scarsissime  anche  per  la
 difficolta' (ed impreparazione) in ordine al sistema dei controlli.
   Anche  la polizia giudiziaria, seppur con gli strumenti forniti dal
 codice  di  procedura   penale,   e'   spesso   rimasta   imbrigliata
 operativamente di fronte al controllo dell'automezzo di trasporto per
 le difficolta' operative nella estrinsecazione degli accertamenti.
   Sulla scorta di queste premesse storiche, e' facile argomentare che
 la  estrapolazione  totale  dal  sistema  penale, parallelamente alla
 omessa previsione di rispetto autorizzativo e tabellare,  non  potra'
 che  generare un tracollo generale del gia' critico sistema con danni
 irreversibili per l'ambiente naturale.
   6.  -  Per  gli stessi motivi esposti in relazione all'art. 9 della
 Costituzione, si ritiene che la norma in esame si ponga in  contrasto
 anche  con l'art. 32 della Carta costituzionale. Infatti nel concetto
 di tutela della salute come  principio  costituzionalmente  garantito
 deve,  per forza di cose, ricomprendersi il piu' vasto concetto della
 salute pubblica nel senso della salubrita' dell'ambiente i'  naturale
 ed  urbano  ove ciascun cittadino vive. Il diritto alla salute inteso
 anche come diritto all'ambiente salubre e' stato ormai  ripetutamente
 accertato  in  giurisprudenza  (si  veda per tutte la famosa sentenza
 delle sezioni unite n. 517 del  6  ottobre  1979,  nonche'  la  Corte
 costituzionale  in  data  30 dicembre 1987 n. 641 ed in data 16 marzo
 1990 n. 127).   E' fuor  dubbio  che  la  diminuita  possibilita'  di
 intervento  deterrente/punitivo  in  sede di illeciti da inquinamento
 idrico nel  settore  specifico,  ed  il  connesso  azzeramento  delle
 residue  sanzioni  penali,  in  sinergia  con  la  deregolamentazione
 autorizzatoria e tabellare, creano i presupposti per  una  evoluzione
 incontrollata  del  fenomeno,  incoraggiata  dall'abbassamento  della
 guardia in sede di controlli di p.g.  e  possibilita'  di  intervento
 processuale; e tutto questo si traduce in via diretta in un danno per
 la  salute  e  salubrita'  pubblica  in  un  ambiente che resta cosi'
 maggiormente ed incontrollatamente esposto al degrado inquinante.  Ma
 il nuovo  testo  appare  in  contrasto  anche  con  l'art.  32  della
 Costituzione.
   Si  sottolinea,  sul  punto,  che  secondo il costante insegnamento
 della Corte costituzionale e della Cassazione, l'art.  32  garantisce
 il  diritto ad un ambiente salubre, per cui "l'amministrazione non ha
 il potere di rendere l'ambiente insalubre neppure in vista di  motivi
 di  interesse  pubblico  di  particolare  rilevanza" (Cass. 6 ottobre
 1979, n. 5172);  appare  dunque  evidente  il  contrasto  con  questo
 diritto  di  una  normativa  la  quale elimina per i soli titolari di
 scarichi di frantoi oleari gli obblighi e le sanzioni penali previste
 dalla legge n. 319/1976 per violazioni che danneggiano l'ambiente.
   7. - Si rileva inoltre che la regressione sanzionatoria in esame si
 pone in evidente contrasto con il principio "chi inquina paga",  oggi
 chiaramente   presupposta   da   diverse  decisioni  della  Corte  di
 cassazione (tra le altre, Cass. pen. sez. III,  2  febbraio  1994  n.
 2525  e  Cass.  pen.  sez.  III,  6  aprile  1993  n. 3148). La norma
 denunciata infatti favorisce apertamente chi  viola  la  legge  nella
 materia  specifica  degli  scarichi  da  frantoi e penalizza, invece,
 anche sul piano della concorrenza tra imprese, le aziende di  settori
 paralleli  o equiparabili come natura o comunque incidenza ambientale
 degli scarichi,  che  hanno  affrontato  rilevanti  investimenti  per
 adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale; e cio'
 appalesa, ad avviso dello scrivente, un contrasto con l'art. 41 della
 Costituzione.
   8.   -   A   proposito   del   possibile   intervento  della  Corte
 costituzionale, tuttavia, si deve rilevare che, proprio  a  proposito
 di  analoghe  eccezioni  sollevate  in  relazione  alla disciplina di
 favore introdotta, con riferimento soprattutto alle  sanzioni,  dalla
 legge  n. 172 del 1995 per gli scarichi delle pubbliche fognature, la
 Corte ha ritenuto di doverle dichiarare manifestamente  inammissibili
 in quanto "il fondamentale principio di stretta legalita' dei reati e
 delle pene preclude pronunce che configurino nuove ipotesi di reato o
 aggravamenti  di  pena"  (ordinanza  n.  332  del  30  luglio  1996);
 aggiungendo  che  "le questioni tendono a introdurre, o reintrodurre,
 figure di reato o aggravamenti di pena, chiedendo una  pronuncia  che
 esula  dai  poteri  spettanti  a  questa corte, giacche' il potere di
 creare fattispecie penali o di aggravare  le  pene  e  esclusivamente
 riservato al legislatore, in forza del principio di stretta legalita'
 dei  reati  e  delle pene, sancito dall'art. 25, secondo comma, della
 Costituzione..." (sentenza n. 330 del 29 luglio 1996).
   A tale argomentazione e' agevole replicare che, nel caso di specie,
 ricorre una situazione diversa, per cui non si  chiede  affatto  alla
 Corte  di  creare  nuovi  illeciti  penali o di aggravare le pene ma,
 molto piu' semplicemente, di valutare se il nuovo regime di favore  -
 relativo agli obblighi prima ancora che alle sanzioni - creato con la
 legge n. 574 per gli scarichi dei frantoi sia in contrasto o meno con
 alcuni  articoli della Costituzione; provvedendo, quindi, come e' suo
 compito  esclusivo,  alla  dichiarazione  di   illegittimita'   degli
 articoli  della  legge  eventualmente  ritenuti  contrastanti  con la
 Costituzione. Che poi, da tale eventuale pronuncia possa derivare  il
 ripristino della disciplina precedente (anche come sanzioni) e' fatto
 del tutto secondario ed automatico, e certamente non tale da impedire
 alla  Corte  di  esercitare  il suo potere-dovere rispetto a norme di
 legge che si sospettano incostituzionali.
   Del resto, richiamando alcune  considerazioni  gia'  accennate,  e'
 pacifico  per  la  Corte  che  l'esercizio della discrezionalita' del
 legislatore in tema di sanzioni "puo' essere  censurato  quando  esso
 non  rispetti  il  limite  della  ragionevolezza  e  dia luogo ad una
 disparita' di trattamento palesemente irrazionale ed  ingiustificata"
 (sentenza  n.  25  del  26  gennaio  1984);  e  che spetta alla Corte
 verificare, caso per caso, se una data  misura  sanzionatoria  sia  o
 meno proporzionata (sentenza n. 110 del 12 aprile 1996).
   9.  -  Si  rileva  ancora  che,  sotto il profilo della correttezza
 istituzionale, ritiene questo pretore di dover  evidenziare  come  la
 legge n. 574/1996 costituisca una metodologia di intervento normativo
 che,  se  consolidata  per  il  futuro,  determinerebbe  di fatto una
 codificazione di un sistema di stralcio caso per caso  di  singoli  e
 specifici settori industriali e/o artigianali dall'impianto (peraltro
 residuale) della legge n.  319/1976.
   In  altri  termini,  altre categorie produttive potrebbero a questo
 punto (e forse comprensibilmente) chiedere a livello politico analogo
 e  parallelo   trattamento   normativo   e   potrebbe,   per   logica
 conseguenziale,  avviarsi  la prassi di stralciare dal contesto della
 legge n. 319/1976, caso per caso e con riferimento  ai  soli  criteri
 della  natura  degli  insediamenti  e  senza  nesso  con la tipologia
 differenziata  dei  reflui,  altre  categorie  produttive;  con  cio'
 creando una legislazione parallela e silente avviata sulla strada del
 totale  e  definitivo  svuotamento  di  principio e sostanziale della
 legge n. 319/1976.
   10. - Da quanto sopra esposto, emerge  che  in  applicazione  della
 norma oggetto del giudizio di costituzionalita' dovrebbe procedersi a
 verifica  in  ordine ai capi A e B  di imputazione per appurare se al
 caso di specie debba applicarsi la  innovativa  disciplina  dell'art.
 21,  primo e terzo comma, legge n. 319/1976, derivante dalla modifica
 introdotta dall'art. 10, comma 1, della legge n. 574/1996  in  esame.
 E  quindi  se l'imputata debba essere prosciolta perche' il fatto non
 e' piu' previsto dalla legge come reato in senso assoluto.
   Qualora,  invece,  la questione di costituzionalita' dovesse essere
 accolta,  si  dovrebbe  procedere  a  dibattimento   secondo   prassi
 ordinaria di rito con esame istruttorio nell'alveo interpretativo del
 terzo  comma  dell'art. 21, legge n. 319/1976 sulla base dei principi
 enunciati dalla Cassazione in materia e conseguente articolazione del
 dibattimento e del connesso sistema sanzionatorio secondo i canoni di
 certezza del diritto fino ad oggi seguiti in materia.
   11. - Dalle  considerazioni  esposte  si  desume  che  il  presente
 giudizio  non  puo'  essere definito, allo stato e vigente i principi
 dell'art.  10, comma 1, legge 11 novembre 1996 n. 574  in  esame,  in
 modo  indipendente  dalla risoluzione della questione di legittimita'
 costituzionale.